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1) Dizion. 5° Ed. .
LETARGO.
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LETARGO.
Definiz: Sost. masc. Sopore prolungato, prodotto da pausa morbosa, e producente oblivione.
Dal lat. lethargus, e questo dal grec. λήθαργος. –
Esempio: Ottim. Comm. Dant. 3, 375: Letargo è una infermità che induce difetto alla memoria.
Esempio: Varch. Boez. 12: Mi pose la mano sopra il petto leggermente. E' non c'è, disse, pericolo nessuno: il mal suo è letargo, cioè grave e profondissima sonnolenza e sdimenticanza, ec.
Definiz: § I. In locuz. figur., e figuratam. –
Esempio: Petr. Rim. 2, 224: Voi sete offesi Di un grave e mortifero letargo.
Esempio: Tass. Gerus. 16, 33: Qual sonno, o qual letargo ha sì sopita La tua virtute? o qual viltà t'alletta?
Esempio: Pallav. Libr. Ben. 354: Dicami Plinio, qual altra sia la cagiona, se non la bassezza della fortuna presente, che la Grecia, maestra già del mondo, giaccia ora in letargo di così grossa ignoranza.
Esempio: Metast. Dramm. 4, 252: Dal tuo letargo Svegliati alfin. Sempre il peggior consiglio È il non prenderne alcun.
Esempio: Paolett. Oper. agr. 1, 133: Soprattutto però uopo sarebbe che i possessori si risvegliassero una volta da quel profondo letargo in cui vivon sepolti, e tornassero a far rivivere quell'industria che ec.
Esempio: Pindem. Poes. 358: Come scuoter da sè l'alto letargo, Che avvolgerialo tosto, e per cui lunga Morte soltanto gli saria la vita?
Definiz: § II. E pure figuratam., per Dimenticanza, Oblivione. –
Esempio: Dant. Parad. 33: Un punto solo m'è maggior letargo, Che venticinque secoli.
Esempio: But. Comm. Dant. 3, 865: M'è maggior letargo; cioè maggiore dimenticagione.