Lessicografia della Crusca in rete

1) Dizion. 5° Ed. .
LERCIO.
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LERCIO.
Definiz: Add. Molto sudicio, Sporco, Tale da fare schifo. –
Esempio: Fr. Gid. Espos. Vang. volg. R. 205: Il buono figliuolo, se trovasse alcuna buona e cara cosa del padre involta nel loto, or che credete che facesse? Or non si ingegnerebbe quanto potesse ed isforzerebbesi di levare quella cosa della bruttura, e di lavarla e nettarla, e di portarla al padre netta? E se non la potesse lavare, or noi la vi porterebbe così lercia, o farebbelo assapere al padre che la mondasse? Certo sì.
Esempio: Esop. Fav. M. 109: Io uso la state, per istare più netta, il mondo farro; ma tu, sozza lercia, vituperi ciò che tocchi con le tue vituperose mani.
Esempio: Pataff. 5: Ch'egli ha del lercio assai più ch'io non scrivo. Buonarr. Fier. 4, 2, 5: L'appetito aguzza. Strega squarquoia, lercia: pù! la puzza!
Esempio: Segner. Mann. genn. 11, 3: Un mendico qual era Lazzero, idiota, lurido, lercio, pieno di fetide piaghe, ec.
Esempio: Salvin. Annot. Fier. 478: Lercia, sudicia, sporca. Dante:... là tra i Tedeschi lurchi. E altrove: D'un medesmo peccato al mondo lerci. Dal lat. lurcones, che nell'affoltarsi a mangiare s'imbrattano.
Definiz: § E figuratam. –
Esempio: Dant. Inf. 15: In somma sappi, che tutti fur cherci, E letterati grandi e di gran fama, D'un medesmo peccato al mondo lerci.
Esempio: Pucc. A. Centil. 76, 19: E questi fu di tal difetto lercio.
Esempio: But. Comm. Dant. 1, 418: D'un medesmo peccato... al mondo... lerci; cioè brutti.
Esempio: Pulc. Luc. Driad. R. 13 t.: I' sono Uno amadore in doglia esosa e lercia.
Esempio: Segner. Pred. Pal. ap. 192: Sventurata Samaritana! Laida, lercia, lontana da qualsisia cognizione di verità, che avrebbe ella saputo giammai di Cristo, se ec.?
Esempio: Giust. Vers. 27: E così tentano Turar la bocca Sopra un'origine Lercia o pitocca.