Lessicografia della Crusca in rete

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MORA
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MORA.
Definiz: Sost. femm. Frutto del moro o gelso; e prende spesso qualche aggiunto o compimento che lo determina. –
Esempio: Cresc. Agric. volg. 239: Le more son di due maniere, o agre, non perfettamente mature, o dolci, perfettamente mature.
Esempio: Ricett. Fior. G. 127: Sugo di more di gelso nero non ben mature, lib. V.
Esempio: Dav. Colt. 521: Il moro è utile per la foglia, per la mora, ec.
Esempio: Targ. Viagg. 5, 276: La repubblica di Pescia con legge del dì 3 aprile 1435 ordinò che in ciaschedun podere si dovesse coltivare per lo meno cinque pedali di mori gelsi bianchi, cioè di mora bianca.
Esempio: Lastr. Agric. 2, 61: Si semina il seme delle more di gelso, ec.
Esempio: Ridolf. Lez. Agr. 2, 355: Oltre a dovere scansare i gelsi che si caricano di more, perchè codesto frutto è dannoso ai bachi, torna bene di scartarli, perchè ec.
Esempio: Lambr. Bach. Set. 149: Quando i bachi sono nel forte del mangiare, la mora suol essere matura, e casca da sè allo scuotere la foglia.
Definiz: § I. E chiamasi pure così il Frutto del rovo; ed anche in tal senso prende spesso qualche aggiunto o compimento che lo determina. –
Esempio: Cresc. Agric. volg. 279: I suo' frutti (del rovo) sono le more, le quali le femmine e li fanciulli mangiano.
Esempio: Pallad. Agric. 39: Tolli di state le more de' rovi, e mischia con farina d'ervo ec.
Esempio: E Pallad. Agric. 244: Il sugo della mora agresta farai un poco scaldare e bollire.
Esempio: Ricett. fior. 144: Sugo di more di siepe, lib. I.
Esempio: Soder. Op. 1, 496: Mettendo ancora in su 'l raspato, quando bolle, dell'azzeruole acciaccate mature, o vero parecchie sorbe peste, ma meglio è degli aponi (aproni) o more nere dei roghi, in non troppa quantità.
Definiz: § II. Avere una cosa che fare con un'altra, quanto gennaio con le more. –
V. Gennaio, § III.
Definiz: § III. Essere alcuno discosto, o lontano, da una cosa, più che non è gennaio dalle more. –
V. Gennaio, § IV.
Definiz: § IV. Sì, le more di maggio! o semplicemente Sì, le more! sono maniere esclamative che si usarono per far intendere ad alcuno che egli si è apposto male di una cosa, o che non sa ciò che crede di sapere. –
Esempio: Cecch. Comm. ined. 1, 10: Ah! sciaurato, tu l'hai dunque detto a mio padre? C. Sì, le more di maggio! lasciatemi dire, se volete intendere come.
Esempio: E Cecch. Comm. ined. 1, 142: E avete a recar non so che gioia O diamante che avete, che è statovi Donato. G. Sì, le more! ch'io l'ho compero Con belli scudi d'or tutti sonantibus.